Scudetto 86'...suicidio Roma

Siamo alla penultima giornata del campionato 1985/86, la classifica vede appaiate in testa Juve e Roma, quest’ultima, capace di rimontare 11 punti di svantaggio ai bianconeri, è lanciatissima verso il terzo scudetto, dato che deve affrontare all’Olimpico il Lecce già retrocesso, mentre la Juve affronta il Milan. La capitale si è colorata di giallo e di rosso e si sono già incominciate a vendere sciarpe, magliette e bandiere con il terzo scudetto stampato, a poche ore dalla partita con il Lecce l’Olimpico è gremito di persone che aspettano solo il fischio finale per festeggiare insieme alla squadra. Il presidente Viola, per scaramanzia ha deciso di farsi una passeggiata attorno allo stadio insieme al sindaco.
Sulla panchina della Roma c’è Sven Goran Eriksson, con lui la squadra ha espresso un calcio di livello assoluto, ma lo svedese non sa ancora che lo scudetto in quella città lo vincerà sì, ma con un’altra squadra e ben 14 anni dopo.
Fischio d’inizio e la Roma comincia a giocare come sa, ovvero molto bene, e al 7’ Graziani raccoglie un lancio lungo e di testa centra il bersaglio, i tifosi romanisti esultano e si aspettano che sia la prima rete di tante, con le quali festeggiare lo scudetto. Quella rete, in realtà, spalanca le porte allo scudetto per la Juve, motivo: i giallorossi si sentono già campioni e, dopo aver sciupato qualche palla-gol per il raddoppio, cominciano a subire, così al 34’ subiscono il pareggio di Di Chiara, che approfitta di una dormita difensiva, mentre e al 42’ Barbas trasforma un calcio di rigore e ribalta il risultato. Le squadre vanno al riposo sull’1-2, i tifosi della Roma non ci possono credere, sta succedendo l’inimmaginabile, ma pensano ancora di vincere lo scudetto, quello che è hanno visto nel primo tempo non può ripetersi nel secondo, sicuramente la Roma si sveglierà e il Lecce soccomberà. Non è così. Dopo soli 8 minuti della ripresa Barbas penetra nella morbida difesa romanista, scarta Tancredi e deposita in rete, è 1-3, a questo punto la speranza viene meno, qualcuno comincia ad arrotolare le bandiere e solo alla rete di Pruzzo che accorcia le distanze, ricomincia a sperare in qualcosa di buono. L’assedio finale della Roma non porta a niente, la partita è persa, lo scudetto è andato, i tifosi sono in lacrime, i laziali godono, gli juventini di più.
“Non dire gatto se non l’hai nel sacco”. Questa frase di Trapattoni, che all’epoca allenava la Juve, vincitrice del campionato, si addice molto alla Roma di quel finale di campionato, capace sì di compiere una clamorosa rimonta, ma anche di perdere uno scudetto già vinto.Si parlò di combine, di totonero, ma la verità, come racconterà Giuseppe Giannini, è che i giocatori della Roma arrivarono a quell’incontro senza più energie fisiche e la convinzione mentale di aver già vinto la partita e il campionato e questo, invece che portare entusiasmo, portò appagamento, tutto questo fece crollare i giallorossi sotto i colpi di un Lecce che non aveva più niente da chiedere al campionato, ma dimostrando onestà sportiva non tradì i suoi tifosi, regalando loro la vittoria contro la Roma.